Foreste

Ripartiamo dai boschi

Diego Florian, Direttore di FSC Italia, racconta Vaia a 6 mesi dalla distruzione di vaste aree in Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, rivolgendo un invito diretto a persone e istituzioni:”rimettiamo i boschi al centro della nostra vita quotidiana. Grazie a loro avremo un ottimo alleato contro i cambiamenti climatici.”

Per mesi su Vaia si è scritto tutto e il contrario di tutto: i milioni di m3 di legname abbattuto sono passati da 14 a 8,7; gli ettari interessati erano 100.000 ed ora sono 41.000 (o forse 42.500); è stato perfino pubblicato il numero di alberi abbattuti dalla furia di vento e acqua: un’informazione che ha scarso significato tecnico-scientifico, dal momento che in un ettaro di bosco possono esserci qualche migliaio di piante giovani e filate o poche centinaia di piante mature.

Venti fino a 200km/h hanno spazzato ampie zone, radendo al suolo boschi e mettendo in ginocchio intere comunità: senza dubbio uno dei peggiori eventi atmosferici della nostra storia. Poteva tutto ciò essere previsto? Non credo. Ciò che è sicuro è che siamo arrivati del tutto impreparati a questo evento, sia per la fase di emergenza che per quella di post-emergenza.

Partiamo innanzitutto dai numeri: i dati infatti permettono non solo di delineare la dimensione del problema, ma anche di articolare comunicazione e informazioni corrette, utili a trovare soluzioni ai problemi contingenti e a strutturare riflessioni sul futuro. E i dati ci dicono che negli ultimi 60 anni l’eccezionalità di queste tipologie di eventi è, di fatto, diventata ordinarietà: tra i più recenti, le tempeste Elizabeth (2005 e 77,5Mm3 di materiale abbattuto), Kyrill (2007, 65Mm3) e Klaus (2009, 44,66Mm3).

I boschi di Asiago
Cantiere forestale nei boschi di Asiago
Sopralluogo nelle aree boschive del Comune di Asiago colpite dalla tempesta Vaia. È stato calcolato che le imprese impiegheranno circa due anni per ripulire le zone di bosco devastate dai forti venti (© Alberto Pauletto / FSC Italia)

Ciò che può fare la differenza è l’adozione di un piano comune di azione, con un coordinamento efficace tra proprietari (publici, privati e proprietà collettive), ditte boschive, industrie del legno, autorità responsabili del finanziamento degli interventi.

Si dirà: molte delle aree colpite erano coperte da certificazione e gestite. In parte è vero; tuttavia, se si guarda ai dati disponibili, ci si accorge di come nella sola Regione Veneto i contributi alla pianificazione forestale siano andati via via esaurendosi, facendo sì che la superficie coperta da piani di assestamento calasse da 282.000 a 175.000 ettari.

I dati ci dicono che negli ultimi 60 anni l’eccezionalità di tipologie di eventi come Vaia, di fatto, è diventata ordinarietà.

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Non è solo un problema di ripristino delle aree colpite, ma anche di lungimiranza: in una situazione di emergenza, il rischio concreto è di perpetrare una logica di breve periodo quando invece c’è la necessità di considerare i tempi lunghi del bosco.

Negli ultimi mesi si sono infine moltiplicate le raccolte fondi e le iniziative di solidarietà volte ad aiutare i territori colpiti, con risultati davvero notevoli; mi chiedo tuttavia quante di queste risorse verranno impiegate per strutturare quello di cui abbiamo veramente bisogno, ossia la capacità di sviluppare una governance efficace del patrimonio forestale. Questo è sicuramente il lavoro più duro che ci aspetta nei prossimi anni: capire a fondo le dinamiche degli ecosistemi e come questi possano essere nostri alleati nella lotta ai cambiamenti climatici, convincendo persone e istituzioni a tornare a parlare dei nostri boschi. E della loro gestione responsabile.